domenica 27 gennaio 2008

DOPO IL DILUVIO....

E' caduto il governo Prodi. La spallata alla fine c'è stata. Un film già visto. UN film già anticipato. Cosa ricorderemo di questo governo? Le cose buone? perchè cose buone ci sono state. L'inizio del processo di liberalizzazioni del Ministro Bersani (osteggiato dalle corporazioni), una legge sul Welfare che ha finalmente diluito il mega scalone pensionistico previsto dal Governo Berlusconi, e che allo stesso tempo mira parzialmente a risolvere il rischio di uno scontro genrazionale sulla previdenza; un'ultima finnziaria che riportava finalmente dei contenuti sociali (una per tutti la possibilità fattibile di recuperare come contributi pensionistici gli anni dell'università); aver ridato una ricomposizione al bilancio, aver recuperato una buona parte dell'evasione fiscale, ecc....Ma tanti programmi non sono riusciti a raggiungere l'arrivo: la legge sulle telecomunicazioni, la riforma elettorale, la legge sui pacs-dico, le riforme costituzionali, ecc... a questo si aggiunge strategie sbagliate e comunicazione fallimentare, e presto si capisce perchè gli italiani si ricorderanno soprattutto l'indulto, un rapporto conflittuale con la magistratura, il connubio non compiuto tra etica e politica. Guarda caso tre fattori che possono trovare il minimo comune denominatore in Clemente Mastella. Ma le colpe saranno accreditate a tutto il centro sinistra. Come uscitre da questa crisi? Portando a termine i due processi iniziati in quel che resta dell'Unone: il Partito Democratico e Sinistra Europea/Sinistra Arcobaleno, due movimenti che si sono spinti nel ricomporre l'assetto polipartitico, nel cercare formule nuove (le primarie, rapporto con le associazioni). Se i propositi con cui sono nati questi processi verranno portati fino in fondo, e, soprattutto, verranno messe in campo forze nuove, riusciremo ad uscire da questa crisi. Altrimenti prepariamoci a decenni sotto il giogo della destra più improponibile del mondo.

mercoledì 23 gennaio 2008

SU CRISI E POST CRISI....

Si potrebbe parlare della cronaca di una morte annunciata. Ma era stata talmente tante volte annunciata che ormai quasi ci si era abituati a cavarsela sempre per il rotto della cuffia. Questa volta invece sembra che non sarà possibile (nel momento in cui scrivo non c'è stato ancora il voto al senato). Le linee di frattura tra spirito laicista e "sensibilità" religiosa, tra etica e gestione della cosa pubblica, tra giustizia e politica, tra riformisti e movimentisti (tutte fratture presenti non tra due coalizioni ma all'interno della stessa alleanza di governo), sono arrivate al punto di non ritorno.Almeno fino a quando il centro sinistra non si presenterà di nuovo alle elezioni mettendo insieme tutte le forze che abbiano il minimo comune denominatore di essere tutte contro Berlusconi, senza aver risolto le sue contrddizioni, e magari con una "porcata" di legge elettorale come quella attuale. Perchè il fatto grave è che siamo dentro una crisi di governo senza essere arrivati ad una nuova legge elettorale che garantisca maggioranze sicure e coese nel nome del bipolarismo (o bipartitismo? perchè no?). Sarebbe auspicabile a questo punto un governo di transizione che ci permetta di arrivare alle prossime elezioni con un riforma elettorale compiuta insime ad altre strettamente essenziali. Naturalmente con un rischio: che dall'esperienza "allargata" del governo transitorio tramonti definitivamente l'idea di due coalizioni contrapposte, di destra e di sinistra, e si ritorni al vecchio, infrangibile sistema centrista. Non è questo l'obiettivo per cui era nato il PD. E in questo frangente è opportuno che chi ha creduto nel progetto fondativo di questo partito stia all'erta

venerdì 18 gennaio 2008

giovedì 17 gennaio 2008

SUL PAPA ALLA SAPIENZA

Cosa si può dire dopo i fatti de La Sapienza?
Ho i miei dubbi che finalmente si sia stabilito un confine tra politica e religione. Non era la prima volta che un pontefice veniva invitato in un’università e non sarà l’ultima. Più che altro già mi vedo chi si lamenterà della persecuzione, di cui soffre il mondo ecclesiastico negli ultimi anni, avere ancora più spazio mediatico. Chi ha scatenato “la rivolta” invece si glorierà di aver vinto la battaglia, anche se la questione stato/chiesa è ben al di là dall’essere risolta. Il rischio in Italia, in questo campo come in altri, è che ogni contraddizione, qualsiasi questione culturale, politica, sociale che veda due fronti opposti si risolva in un conflitto armato tra sordi. Il confronto, la sana disputa razionale (anche quando può essere accompagnata da una sana dose di passione) sembrano essere spariti in questo Paese, forse a causa dei 14 anni passati con il bipolarismo politico della Seconda Repubblica, fondata sullo scontro ideologico tra due schieramenti partitici quasi privi ormai di ogni struttura ideologica alla loro base.
Fossero solo le ideologie a mancare, ma qui ad essere in crisi sono anche gli ideali, e se a questo si aggiunge la scarsa fiducia nelle istituzioni., il triste quadro di questi anni si rende più evidente. Forse è proprio in questa situazione di crisi di ideali e istituzionale, che, come scrive Ezio Mauro, sulle pagine di Repubblica, che le istituzioni ecclesiastiche cercano sempre di più di imporsi come guida etica anche di chi non è credente, o di chi, credente, vuole distinguersi su alcune posizioni chiavi della Chiesa; una guida compiuta influenzando o cercando di influenzare, le scelte politiche dei governi. Un’influenza che porta a sua volta però un’ulteriore crisi politica e istituzionale
Ma il tentativo della Chiesa non può essere affrontato opponendo ad essa l’anticlericalismo fine a se stesso. La soluzione sta ancora nel confronto aperto e schietto non tra categorie, ma tra individui con tutti i loro ideali e le loro ragioni, per poter capire alla fine quali possono essere le soluzioni più ideali e più razionali dei problemi sociali ed etici.
Per quanto riguarda la sua parte, il Partito Democratico rischia ancora di essere incatenato a contrapposizioni sorde come quella su citata. La contrapposizione Ex Democristiani ed Ex Comunisti..la contrapposizione ex provenienti dai partiti ed ex provenienti dalla società civile..ecc...
Tutto ciò rischia di minare il processo, se non si vuole essere capaci di contaminarsi l’un con l’altro. Un principio che vale per il Partito Democratico, e per la società in generale, e ancor di più alla presenza fenomeni migratori che magari alla questione Stato / Chiesa Cattolica hanno una terza posizione da aggiungere.
Chiudo con una considerazione sull’assemblea dei costituenti veneziani svoltasi sabato 12 gennaio a Favaro e sull’ordine del giorno sulla 194 e sulla moratoria sull’aborto lì presentato, considerazione che spero non crei dissapori trattandosi di un tema così delicato. La presentazione dell’ordine del giorno, un testo che sinceramente condivido, ha portato ad un duro scontro nell’assemblea. Il mio timore come osservatore esterno in quel momento, è rischiare di veder ripetersi in futuro quello che nei DS ho già conosciuto: l’instaurarsi di minoranze e maggioranze in grado di non parlarsi tra di loro, cristallizzate e fini a se stesse.
Che Ferrara cercasse, più che la moratoria in sé, di mettere l’ennesimo seme della discordia dentro il corpo del nuovo partito? In ogni caso cerco disperatamente qualcuno che mEtta finalmente discordia nel corpo di Ferrara (e come direbbe Benigni spazio ce n’è!).

domenica 13 gennaio 2008

Poche modeste riflessioni sul tesseramento nel PD...

Il Partito Democratico deve garantire il ricambio generazionale e la pari opportunità tra i generi, deve sapere aprirsi alla cittadinanza attraverso le primarie per l’elezione del segretario nazionale e delle liste dei candidati alle elezioni politiche ed amministrative. Deve anche farsi carico delle istanze dei cittadini, come dovrebbe essere per definizione un partito popolare, e come da alcuni anni non sono riusciti a fare i partiti in Italia dalla fine della “prima” Repubblica. Deve sapere anche costruire un dialogo costruttivo con il mondo associazionistico, che soprattutto negli ultimi anni è stato la principale fonte di partecipazione “politica” dei cittadini. Deve essere in grado a prendere le decisioni sul territorio e il più vicino possibile ai cittadini, conformemente a principi di tipo federativo e di sussidiarietà.
In questo senso il PD, grazie alla trasparenza e alla democraticità delle sue scelte, potrà essere inteso come partito fluido. Ma perché il PD non diventi partito organizzato in comitati elettorali, perché la partecipazione non si riduca alla convocazione delle primarie e al sostegno del candidato di turno nelle campagne elettorali, c’è bisogno di un vero tesseramento. Da esso non si può prescindere se si vuole garantire un’effettiva partecipazione dal basso. Esso è necessario per dare corpo al popolo delle primarie, ai sostenitori del Partito Democratico. E’ opportuno costruire un senso di appartenenza a questo partito tale da garantirgli la solidità di cui ha bisogno. Non si può limitare la partecipazione solo al voto delle primarie, ma deve strutturarsi nella partecipazione ad iniziative a discussioni, a partire dal livello locale fino a quello nazionale, che renda partecipi tutti quelli che vogliono sentirsi parte di questo progetto. Non solo gli eletti e i delegati. Il sistema attuale può essere utile in questo momento primigenio di fondazione. Ma subito dopo si deve avviare una nuova fase.
Purtroppo le notizie sul possibile tesseramento nel PD sono ancora incerte, forse determinate dal fatto che fino a quando le versioni definitive della Carta Dei Valori, del Manifesto e dello Statuto è impossibile avviarlo, ma ci deve essere la chiara volontà che esso diventi realtà non appena le relativi commissioni abbiano finito il loro lavoro.

martedì 8 gennaio 2008

IN RICORDO DI BIAGI

(articolo pubblicato su www.lavocetta.it numero dicembre 2007)

Riconosco le mie colpe. Nel fatidico anno 1994, quando in Italia tutto doveva essere o bianco o nero, lo stile giornalistico di Biagi, così apparentemente freddo e scientifico, non mi piaceva più di tanto. Preferivo lo stile più aggressivo dei giornalisti emergenti degli anni novanta, figli più del ’68 che della Liberazione. Uno stile più infuocato, più partecipato e “di parte”. Stava invece per nascere quel giornalismo rissoso, che tendeva a mettere i politici l’uno di fronte all’altro, ma non di fronte ad un giornalista in grado di fare un’intervista seria, un’inchiesta, di studiare e fare emergere la verità chiaramente in modo di farla capire anche al meno istruito dei lettori o dei telespettatori. Ecco, gli anni mi hanno fatto capire quale era il valore di Enzo Biagi. E soprattutto lo capii dopo l’editto bulgaro. L’epurazione operato dell’allora (era il 2002) Presidente del Consiglio di una serie di giornalisti e autori televisivi (tra cui Biagi) aveva creato un più che legittimo coro di proteste che infiammò gli animi di molti cittadini. E naturalmente aveva infiammato gli animi degli epurati, che si videro costretti riciclarsi con altri mezzi (per alcuni il Parlamento Europeo) per far sentire le loro grida di protesta. Ma il grido più forte era il silenzio in cui si era ritirato Biagi. A posteriori, sembrava che la sua assenza e la discrezione con cui affrontò l’esilio mediatico simboleggiasse il ritiro della civiltà in un periodo (finito? Non penso) di sostanziale inciviltà. E allora capisco cosa dovesse aver tanto disturbato nel suo stile apparentemente freddo. Era la tensione di far vedere la realtà così com’era, di porgertela senza ammantarla di ideologia, ma sapendola interpretare in base ai propri valori ed esperienza. Una bomba esplosiva in tempi di nani e ballerine e cacofonia di urla magari intervallate dal suono dei campanelli alle porte (apri la porta…ok…entra l’ospite…ok….vai con la musica di Via col vento). E quando Fazio lo riportò in tv ormai eravamo già in fase nostalgia tipicamente faziana, il ricordo di qualcosa passato e che forse non tornerà più. E invece il ritorno ufficiale ci fu: con RT, il nuovo rotocalco che riusciva a condurre e a dirigere nonostante la fatica e il logoramento fisico derivati dal forzato allontanamento dal suo lavoro. La sua prima intervista al giovane autore di Gomorra, Roberto Saviano, un giornalista che ha messo a repentaglio la sua vita per fare un’inchiesta sulla criminalità organizzata. Nella triste mania di trovare eredi alle persone scomparse, forse la palma andrebbe data a quest’ultimo. Molto di più dei tanti coccodrillisti che abbiamo letto in questi giorni, che, a differenza di Biagi, hanno saggiamente aspettato che cambiasse il governo per scovare finalmente i malanni della classe politica italiana.

INTERVENTO CONGRESSO PROVINCIALE DEI DS DI VENEZIA 2007

Molti di noi mesi fa hanno manifestato perplessità su come è iniziata la discussione sul PD all’interno dei Democratici di Sinistra, ma alla fine abbiamo preso una decisione, e penso che non fosse opportuno ritrovarsi fra 5 anni a ridiscutere sulle stesse questioni, magari dividendosi di nuovo, tra chi è favorevole al PD, chi è contrario e chi vuole rimandare la decisione a 5 anni dopo. E abbiamo dovuto prendere questa decisione perché è stato il momento storico e politico ad imporcelo. E noi siamo già in ritardo.
Vi sono dei cambiamenti epocali: il sistema degli Stati nazionali cede il passo a movimenti internazionalistici e sopranazionali, globalizzazione e integrazione europea per citarne due; da un sistema economico fordista passiamo ad uno post-fordista e alla new economy.
Ne deriva che la società è cambiata in questi anni, ma ci troviamo di fronte comunque a divisioni, fratture tra chi ha più e meno diritti, tra chi ha più o meno privilegi; ma queste fratture non si registrano solo tra due classi sociali. Queste fratture le troviamo diffuse su tutta la moderna società fluida di oggi.
Bisognerebbe ridefinire lo stesso significato di classi sociali e di rappresentatività politica dei partiti nei confronti di essa. Infatti se si ragiona sulla possibilità di creare o meno un nuovo partito democratico bisogna partire dall’analisi della contemporaneità.
Ora di fronte a questo problema si pone la questione se noi, donne e uomini di sinistra, oggi riusciamo a pensare ad una sinistra che non solo parta, ma vada oltre le scuole politiche del ‘800 e del ‘900.
Lo diceva anche Bobbio nel ’92: la differenza tra sinistra e destra dovrebbe essere quella tra riformisti e conservatori. Ma quale riformismo?
Un riformismo che non deve essere solo di carattere economico (lavoro e welfare in primis) ma anche sociale e culturale. Insomma non si può avere un’economia e un mondo del lavoro con garanzie per tutti se contemporaneamente non si costruisce una società culturalmente flessibile ai cambiamenti, alle nuove esigenze, alla realizzazione di ogni singolo individuo. Esistono nuovi diritti (civili, politici, sociali) che si affacciano in questo nuovo millennio, la necessità dei quali si fa ogni giorno più urgente.
Diritti che possono comportare anche la rottura di steccati ideologici. I DICO possono essere uno dei primi passi verso questo processo, su un tema che fino a qualche anno fa sarebbe stato difficile far discutere anche nel nostro partito.
Deve essere precisa la vocazione che il nuovo partito deve avere chiara nel suo programma: il cambiamento della società. La sua aspirazione deve essere quelle di togliere privilegi e ridistribuire risorse, deve richiamare l’idea di solidarietà, di giustizia sociale, di libera espressione di intelletti, culture e arti.
Quindi non basta sommare le classi dirigenti e nemmeno sommare le culture, socialista e cattolica: dobbiamo creare qualcosa che vada oltre.

Certo non sarà facile costruire un partito con certi settori della Margherita, ma se è il riformismo che vogliamo fare dobbiamo capire che dobbiamo costruirlo con chi lo vuole fare.
Per quanto riguarda la differenza tra la nostra cultura e quella cattolica, guardo i movimenti che in questi anni hanno portato avanti la contestazione alle storture dalle globalizzazione. Esclusi i gruppi più estremisti, la maggior parte di queste associazioni, rete Lilliput in primis, aveva una forte componente sociale al loro interno di derivazione cattolica, e ciò nonostante di sinistra, e in grado di portare avanti un forte movimento di contestazione allo status quo. Alex Zanotelli in primis, è l’emblema di come questi movimenti nascano spesso dalla sintesi dei movimenti pacifisti, ecologisti di sinistra, e dai movimenti solidaristici cattolici.
Il PD dovrà saper interagire con essi. Troppo spesso questi movimenti sono stati ricondotti tutti ad una matrice di estremismo di sinistra, caratteristica appartenente solo ad alcune delle loro espressioni. In realtà la loro esperienza e molto più ampia e variegata di quanto un’analisi superficiale possa far sembrare. Nelle loro migliori espressioni esse mostrano una forte spinta progressista che un partito che vuole chiamarsi riformista non può ignorare. Chiaro che il compito di questo nuovo Partito dovrebbe essere riuscire a tradurre su piano concreto e fattibile la spinta idealistica di queste forze.

Ora che la strada verso il PD è stata presa, devono giocare un ruolo fondamentale le Unità di Base, i luoghi in cui da sempre si è organizzata la vita politica di tutti gli iscritti. La sezione territoriale rappresenta per qualsiasi membro dei Democratici di Sinistra il luogo del partito di maggiore legame affettivo, a prescindere dal suo percorso politico. Senza Unità di Base non ci sarebbe il Partito, non ci sarebbero stati i Democratici di Sinistra. Senza di esse non ci sarà il PD. Esse sono il maggiore punto di legame con la società, con i cittadini. Per questo l’esigenza di guardare avanti, di saper dare una risposta alla nuova domanda di partecipazione dei cittadini, come intende fare il Partito Democratico, deve essere accompagnata dal riconoscimento del ruolo di queste sezioni.
Il percorso verso il PD comporta anche un rinnovamento e l’investimento sulla costruzione di una nuova e giovane classe dirigente. Vorrei ricordare l’esperienza di alcuni giovani compagni del nostro Partito con i giovani della Margherita alle scorse elezioni politiche, e la fruttuosa collaborazione che ne è nata.
Per cui chiedo al Partito di avere la forza di non lasciarsi indietro il valore del nostro passato, e nemmeno il valore del nostro futuro.

GLI ITALIANI E LA SOCIALIZZAZIONE ALLA POLITICA

(questo articolo è stato pubblicato sul sito della Sinistra Giovanile di VEnezia nel 2006. Per quanto datato l'ho voluto recuperare, considerando alcune parti ancora attuali, anche in considerazione della nascita del PD, sia per ricordare che alcuni sbagli non sono stati ancora risolti)

La cosa più preoccupante della tornata elettorale del 2006, a mio avviso, è il dato statisticamente impossibile di una nazione che si è divisa perfettamente a metà.
Sembra quasi che gli italiani non siano in grado di avere una vera coscienza di popolo, un’idea razionalmente collettiva che alla fine permetta loro di decidere se un governo meriti o meno di esse confermato. Zapatero può governare la Spagna non tanto per merito di un suo programma, quanto per il giudizio collettivo di bocciatura per la condotta del premier Aznar nei confronti degli attentati di Madrid.
Sembra invece che in Italia la gente sia diventata talmente apolitica da non riuscire ad essere in grado di dare segnali a tutta la classe dirigente (congelata da settimane sulla questione chi ha veramente vinto, chi ha veramente perso), nemmeno attraverso lo strumento del voto. Una stanchezza politica da parte dei cittadini che si può rivelare estremamente pericolosa sia per l’apparato istituzionale che per il vivere civile e sociale.
Questo magma elettorale che vede due masse perfettamente identiche nei numeri forse nasce dal fatto che in fondo non siamo mai stati socializzati veramente alla politica dei contenuti. Per 50 anni il binomio Comunisti e Cristiani ha nei fatti diviso gli elettori in due fazioni fortemente caricate dal punto di visto ideologico, ognuna destinato a ricoprire ruoli fissati: uno al governo, l’altra all’opposizione. Non abbiamo fatto in tempo ad uscire da questo stallo con il terremoto del crollo del Muro di Berlino e con tangentopoli, che, come un cometa, ci è piombato il Cavalier Berlusconi, con tutta la sua potenza mediatica ed economica. Da quel momento siamo quindi ripiombati in una nuova divisione tra fazioni: l’anti-politica berlusconiana a destra e l’anti-berlusconismo a sinistra. Con tutte le chance in più che lascio per la sinistra, devo dire che entrambe le fazioni da ormai dodici anni hanno mancato l’obiettivo di sviluppare un proprio bagaglio di contenuti politici con cui radicare una propria identità. Si sono il più delle volte barcamenati con le istanze imposte dall’agenda politica del momento, dalle emergenze, dalla triste faciloneria demagogica, per il resto schiacciati dall’abbagliante e incredibile conflitto d’interessi economico-politico-giudiziario di Silvio Berlusconi, il vero e unico tema portante di tutti i giorni dell’anno, da ormai più di una decina d’anni.
Si è quindi mancato l’occasione di una vera socializzazione alla politica degli italiani, un’occasione che bisognava giocarsi all’inizio degli anni novanta ma che l’intervento in campo del Cavaliere ha fatto (incredibilmente?) saltare.
Erano queste le elezioni giuste per ricuperare i contenuti nella politica?
Secondo l’impostazione di Prodi sì.
Non si spiegherebbe altrimenti l’attenzione dedicata ad un lungo programma di 280 pagine. Un programma difficilmente leggibile nella sua interezza dalla maggior parte dei lettori; un programma che è il risultato della difficile mediazione tra tutte le anime dell’Unione. Ma nonostante queste difficoltà il messaggio era chiaro: serietà, competenza, nessuna faciloneria demagogica. Possibile che una sbagliata comunicazione sul problema tasse e l’ennesima promessa vuota di Berlusconi (mai più ICI) siano stati quasi sufficienti per ribaltare una vittoria quasi annunciata?
Prodi ha avuto il merito di dire durante al campagna elettorale che gli italiani stanno male, che gli italiani sono stanchi, quando le forze del governo con il loro potenziale mediatico hanno continuato a dire che andava tutto bene, e se c’erano problemi era tutta colpa delle coop rosse, dei cinesi e degli extracomunitari. Ma il problema è che il centro sinistra non è riuscito a comunicare le sue soluzioni soprattutto ad una buon parte di quei cittadini che hanno difficoltà ad arrivare a fine mese, ai quali la promessa dell’eliminazione dell’ICI dev’essere sembrata molto più appetibile di tutti i realistici e concreti programmi di Prodi. Purtroppo limitarsi di parlare ai cervelli quando lo stomaco prevale su esso non potrà mai assicurarci una sicura vittoria.
Si sa che il centro destra in Italia fa particolarmente breccia sugli elettori con una scolarizzazione medio bassa, più suscettibili sicuramente al bombardamento mass-mediologico.
Sbaglierebbe la sinistra a questo punto limitarsi a scrollare le spalle e rassegnarsi che metà della popolazione è stregata dalla televisione. Se il nuovo secolo è quello della comunicazione, in cui l’informazione ha sostituito il capitale come motore della società, i nuovi poveri, i nuovi svantaggiati non sono soltanto quelli che si trovano in una condizione di deficit economico, ma anche coloro che si trovano in una situazione di istruzione, formazione e informazione precari. Ed è gioco facile per chi detiene il potere della comunicazione mediatica, soprattutto attraverso l’uso del monopolio televisivo, fare in modo che i loro utenti siano sempre meno interagenti e capaci di utilizzare concettualmente i mezzi: un attore passivo quando la comunicazione si muove sempre più su un piano interattivo.
La sinistra deve sapere dialogare con chi soffre questo deficit, saper riuscire a rimettersi in rete con i nuovi poveri esattamente come un tempo lo faceva con le masse proletarie. Solo così si può tentare una socializzazione alla politica dei cittadini che possa finalmente superare il blocco demagogico anti-politico dell’attuale centro destra italiano.
A questo punto risolvere una volta per tutti il conflitto d’interessi di Berlusconi diventa una priorità non più rinviabile, ma non bisogna illudersi che sia solo questa la chiave per la vittoria. La prospettiva della sconfitta non può essere scongiurata nemmeno dal sondaggio più promettente, finché non si riuscirà a parlare contemporaneamente alle pance e ai cervelli (tutti!).
Senza dimenticarsi naturalmente dei cuori.

SULLA LIBERAZIONE DI MASTROGIACOMO

(Pubblicato su http://www.lavocetta.it/ numero di aprile 2007)

C’è qualcosa che viene prima di qualsiasi polemica, di qualsiasi strumentalizzazione politica, di qualsiasi speculazione mediatica,e anche di qualsiasi crisi internazionale. Quel “qualcosa” può essere la foto di Gino Strada con la testa chinata sulla spalla di Daniele Mastrogiacomo, entrambi con i volti sorridenti, entrambi esausti, uno dei due con un vistoso turbante in testa, tanto per ricordarci dove ci troviamo. È la foto della liberazione; di un prigioniero innanzitutto. Ma è anche la liberazione della nostra umanità e di tutto quello che può comprendere: l’ansia per la sorte di un uomo che nemmeno conosciamo, ma che grazie alla potenze dei media diventa l’uomo della porta accanto; la paura che la prossima notizia che cliccheremo sul sito internet sia una brutta, pessima notizia; e la gioia finale, che arriva alla fine, quando il computer carica quella foto del medico e del giornalista ripresi insieme.
Ma è umanità anche quella che ti spinge a chiederti perché uno invece di strasene tranquillo in casa va a cacciarsi tra le fauci del leone incasinando un conflitto di rilevanza internazionale incasinato già di suo. Ma è la stessa umanità che spinge un individuo a fare della curiosità la sua professione e a scoprire ciò che sta dietro la coperta d’informazioni di cui siamo sommersi: la verità.
Ed è bello scoprire l’umanità ogni tanto. Peccato che non sia successo altre volte. Con Baldoni ad esempio, colpevole di essere stato rapito in un giorno d’estate, quando la gente e i governi sono assopiti dal caldo, o si è troppo distratti nel seguire le olimpiadi.
Ma questa volta no, non è successo così.
Poi vengono le polemiche, le strumentalizzazioni politiche, le speculazioni medianiche, le crisi internazionali.
Ma appunto stavolta sono venute dopo, non prima.