sabato 8 novembre 2008

MESSAGGIO RICEVUTO "DIRETTAMENTE" DA BARACK OBAMA IL 5 NOVEMBRE SU FACEBOOK

I'm about to head to Grant Park to talk to everyone gathered there, but I wanted to write to you first.

We just made history.

And I don't want you to forget how we did it.

You made history every single day during this campaign -- every day you knocked on doors, made a donation, or talked to your family, friends, and neighbors about why you believe it's time for change.

I want to thank all of you who gave your time, talent, and passion to this campaign. We have a lot of work to do to get our country back on track, and I'll be in touch soon about what comes next.

But I want to be very clear about one thing...

All of this happened because of you.

Thank you,

Barack

mercoledì 5 novembre 2008

SU OBAMA E SULL'AMERICA

Una cosa è certa: la vittoria di Obama non dipende tanto dal suo programma, quanto dal messaggio che incarna con la sua stessa persona.
La storia del figlio di un pastore etiope che diventa presidente degli USA ci dice che l’America è molto più complessa di quella che vorrebbero raccontarci i suoi estimatori di destra e i suoi denigratori di una certa sinistra. Innanzitutto, semplificando, esistono due Americhe, una delle paura, dei teodem, dell’orgoglio nazionalistico e religioso a tutti i costi, del razzismo retaggio della schiavitù, del post undici settembre e di Gorge W Bush. E poi un’altra America, quella che in maniera retorica ha voluto essere la terra della speranza, della frontiera che si spinge oltre, della opportunità accessibile non solo a chi era americano, ma anche a chi americano non lo era ancora. L’America prima democrazia del mondo per storia (la sua rivoluzione precede ed ispira quella francese) e per popolazione. Un?America tante volte smentita, altrettante volte resa concreta. E in politica questa America si é incarnata almeno in due presidenti, entrambi democratici: Franklin Delano Roosvelt e J.F. Kennedy. Roosvelt era riuscito a dare speranza ad una nazione nel pieno della più profonde delle crisi economiche (colta l’analogia?). Kennedy era il presidente che diceva ai suoi elettori Non pensate a quello che il Paese può fare per voi ma quello che voi potete fare per il Paese. È la stesa ottica di Obama con il suo Yes We Can. La politica che rovescia la normale ottica del rapporto verticale tra eletto ed elettore, annulla la distanza tra i due poli, derivato dal voto chiesto in cambio della promessa di qualcosa. Ma per una volta è il politico che chiede al cittadino di essere partecipe alla politica, di rendersi attivo nella realizzazione di un progetto, e non solo nel contesto di un sentimento antipolitico contro la casta, come farebbe Beppe Grillo. Ma con un impegno attivo e partecipato, tale che dalla partecipazione politica, dal voto deriva un sentimento di gioia, non astio. Sarà anche retorica, ma quando la politica si sa unire con l’emozione raggiunge le sue vette più alte. Vedere al telegiornale le file di americani intenti di votare, laddove l’astensione era altissima in altre occasioni mi ha riempito di felicità e del ricordo di quando compiuto diciott’anni, l’unica cosa di cui mi importava era poter finalmente votare. Così mi ha fatto piacere vedere McCain e Obama concedersi l’onore delle armi una volta avuto il risultato del voto: Mc Cain ha riconosciuto che il messaggio di speranza lanciato da Obama fosse quello vincente, e Barack ha riconosciuto il valore di un avversario che aveva dato tutto se stesso alla patria prima come soldato poi come politico. Sarebbe concepibile in Italia?
Non ci illudiamo troppo: Obama dovrà continuamente mediare il suo messaggio di speranza con le incombenze della politica reale. I suoi programmi di riforma dovranno confrontarsi con i magri bilanci derivati dalle guerre iniziate da Bush, con in più la crisi economica che incombe. E se riuscirà a compiere il ritiro dalle truppe in Iraq, difficilmente riuscirà a ritirarle dall’Afghanistan, e dovrà confrontarsi con la rinata guerra fredda con la Russia. Fra sei mesi cominceremo a leggere i titoli dei giornali del tipo “E’ finita la luna di miele tra Obama e gli USA”, come un copione già scritto. Ma se nel frattempo riuscirà ad incrinare la dottrina del liberismo puro, del unilateralismo internazionale alla Bush, dello spettro della paura che la destra di ogni parte del mondo ama cavalcare, si può dire che il suo progetto sarà in parte positivamente riuscito. E se la passione politica rimarrà nelle vene di tutta la gente (soprattutto giovani, ispanici, afroamericani) che è riuscito a portare alle urne laddove altri hanno fallito, la promessa di una vera uguaglianza finalmente incarnata in un presidente afroamericano, la visione di un reverendo nero quarant’anni or sono forse sarà realizzata.
I have dream proclamava Martin Luther King. Speriamo che questa volta il sogno non venga ucciso.

sabato 1 novembre 2008